Le Nanomedicine
LA RAPIDA ESPANSIONE DELLE NANOTECNOLOGIE HA APERTO NUOVE PROSPETTIVE E AVANZAMENTI NELLA RICERCA BIOMEDICA COME NELLA PRATICA CLINICA. COME HA ANTICIPATO, GIÀ NEL 2011 MOLINARI, “SAREBBE AUSPICABILE MODIFICARE LE CARATTERISTICHE DEL FARMACO (SOTTO FORMA NANONIZZATA) IN MODO DA INCREMENTARNE LA SOLUBILITÀ, LA STABILITÀ E LA SPECIFICITÀ AL SITO DI AZIONE” È EVIDENTE CHE QUESTE CONSIDERAZIONI SONO VALIDE ANCHE PER UN PARTICOLARE CAMPO DI APPLICAZIONE DELLE NANOMEDICINE: LA NANOFITOMEDICINA
Le nanomedicine rappresentano un mezzo innovativo e potente per intervenire nel campo medico. Esse presentano vari vantaggi rispetto alle terapie mediche convenzionali: maggiore specificità terapeutica, meno effetti collaterali, migliore accesso ad aree inaccessibili come i tumori (Amit A, 2019). Le nanomedicine sono, in genere, di una grandezza che è inferiore a 100 nanometri. Ed è da sottolineare che il nanometro corrisponde ad un miliardesimo di metro, cioè 1 alla meno 9 metri. Le nanomedicine vengono trasportate da nanocarrier (nanovettori) che hanno una grandezza che è anch’essa inferiore a 100 nanometri. Scopo della Nanomedicina è di risolvere alcuni problemi relativi alla diagnosi e al trattamento delle malattie (Owen A, 2015). Nel campo della diagnostica sono stati sintetizzati vari nanomateriali per migliorare l’acquisizione nell’imaging in campo biomedico. Nel campo della terapia con i farmaci “nanonizzati”, trasportati dai nanocarrier, l’effetto terapeutico è maggiore e si raggiunge con dosaggi minori, con conseguente minore tossicità (Owen A, 2015) perché i nanocarrier sono in grado di guidare una molecola bioattiva nella sede di azione desiderata e di garantire il rilascio sull'obiettivo terapeutico ad una concentrazione ottimale e per il tempo desiderato (Fornaguera C, 2017). La possibilità di raggiungere tali risultati da parte dei nanofarmaci dipende molto dal tipo di nanovettore perché “quando un farmaco viene intrappolato in un nanovettore acquisisce la farmacocinetica del nanovettore stesso” (Molinari A, 2018), cioè il nanofarmaco acquisisce l’ADME (assorbimento, distribuzione, metabolismo ed eliminazione) del nanovettore. Attualmente la maggior parte degli sforzi del mondo della Ricerca Scientifica è rivolta ad individuare i carriers (i nanovettori) più idonei per i nanofarmaci in esame, testandoli sia in vitro che in vivo su animali da esperimento. I nanovettori sono costituiti da vari tipi di biomateriali (di natura organica o inorganica), i quali debbono presentare caratteristiche particolari che riguardano la loro morfologia, la loro capacità di inglobare i nanofarmaci, l'adesione e l'internalizzazione cellulare, ed infine debbono presentare ridotto catabolismo intracellulare. Inoltre la sintesi di nuovi nanovettori deve ottemperare alle “necessità cliniche” desiderate (Owen A, 2015), in altre parole i nanovettori debbono essere funzionali al nanofarmaco che si vuole utilizzare. Ad esempio nella loro applicazione nel campo della terapia al tumore i nanovettori sono classificati in tre grandi categorie:
1) di prima generazione, come ad esempio i liposomi, che raggiungono il bersaglio per un meccanismo passivo, dovuto a una aumentata permeabilità agli endoteli vascolari;
2) di seconda generazione, la cui superficie viene ricoperta da ligandi specifici per facilitare il targeting al sito bersaglio;
3) di terza generazione, o sistemi di delivery multistadio, costituiti da più nanocomponenti, ciascuno dei quali viene progettato per poter superare una specifica barriera biologica (Molinari A, 2011).
Quindi vari sono i tipi di nanovettori utilizzati(e che vengono continuamente sintetizzati)perché ognuno di essi, a seconda della loro applicazione clinica, può generare dei problemi. Infatti i liposomi possono avere il difetto di presentare una bassa penetrazione dermica, e quindi in campo dermatologico vengono preferiti altri nanovettori come iproniosomi o i nanocristalli di silice. Uno dei nanovettori che per prima sono stati sintetizzati e provati clinicamente sono i liposomi, i quali sono vantaggiosi per merito della loro biocompatibilità e della loro biodegrabilità . Sono della grandezza di 50-450 nm. I liposomi sono costituiti principalmente da fosfolipidi, i quali hanno la caratteristica di avere morfologia simile alle membrane cellulari e possono facilmente incorporare vari nanofarmaci. I liposomi presentano una struttura (a sandwich) che li rende allo stesso tempo idrofili e lipofili, il che li rende adatti a legarsi a nanofarmaci idrofili e lipofili e sono in grado di rilasciare i nanofarmaci nel loro medium adatto (acqua o lipidi) (Bozzuto G, 2015).
Vediamo alcuni esempi: il farmaco vincristina, utilizzato diffusamente nel trattamento di vari tumori, aumenta significativamente la sua attività se somministrato sottoforma di liposomi;
l’antibiotico anfotericina B dimostra migliore
tolleranza ed efficacia se usato sotto forma di liposomi. Stesso discorso per il farmaco antitumorale daunorubicina, il quale oltre ad essere più efficace è anche meno cardiotossico. La doxorubicina è stato il primo farmaco somministrabile sotto forma di liposomi che è stato autorizzato dall’FDA (nel 1995), da utilizzare in pazienti con AIDS che presentano sarcoma di Kaposi chemio-resistente (Bozzuto G, 2015). Nel 2015 i farmaci approvati sotto forma di nanomedicine da parte dell’FDA (USA) e da parte dell’EMA (Europa) sono i seguenti: MyocetTM, Abraxane, Doxil, Eligard, Caelyx, DaunoXome, Genexol-PM, and Oncaspar, che vengono utilizzati maggiormente in alcuni tumori specifici, ma anche nel diabete, nella ipercolesterolemia, nella schizofrenia e nelle infezioni fungine (Fornaguera C, 2017).
USO TOPICO DELLE NANOMEDICINE
Furbiprofen. L’applicazione cutanea, in animali da esperimento, di flurbiprofen in gel, sotto forma di nanomolecole, determina una biodisponibilità di questo Fans maggiore di 4 volte rispetto alla somministrazione orale e la sua capacità antinfiammatoria è notevolmente più alta (Bhaskar K, 2009). Ibuprofen preparato sotto forma di nanoparticelle e somministrato in aerosol, a dei gatti, esercita effetto analgesico di tre volte superiore (Onischuk AA, 2009). Diclofenac. È stato dimostrato in vitro, su cornea umana, che il diclofenac viene maggiormente assorbito se applicato sotto formulazione di nanoparticelle (Attama AA, 2008). Candesartan. Come testimoniato in vitro la formulazione di candesartan in nanoquantità utilizzando come carrier dei proniosomi, applicata sotto forma di gel su cute di ratto, vede aumentare notevolmente la sua permeazione cutanea. Inoltre il candesartan, in forma di proniosomi, somministrato per via orale a dei ratti, presenta una biodisponibilità notevolmente superiore a quella delcandesartan utilizzato in milligrammi (Acharya A, 2016).
USO SISTEMICO DELLE NANOMEDICINE
Acyclovir. Il problema di questo farmaco antivirale è che viene solo parzialmente assorbito nel tratto gastrointestinale. Per migliorare la sua variabile biodisponibiltà questa molecola è stata somministrata ad animali da esperimento (conigli) sotto forma di niosomi con incremento della biodisponibilità di almeno due volte (Attia IA, 2007). Ganciclovir. Molecola che è utilizzata per trattare le infezioni da citomegalovirus, ma a seguito di somministrazione per via orale il ganciclovir viene assorbito dal tratto gastrointestinale in misura limitata, e la biodisponibilità assoluta dopo assunzione per os a digiuno è pari al 5% circa. Invece la somministrazione in nanoparticelle, in animali da esperimento (ratti), ha aumentato la sua biodisponibilità di 5 volte e l’effettiva concentrazione nel sangue permane per otto ore dopo la somministrazione (Akhter S, 2012).
NANOFITOMEDICINE
Abbiamo visto che le nanotecnologie sono un nuovo sistema per la dispensazione di farmaci (Novel drugs delivery systems (NDDS)). Anche la fitomedicina ricorre alla tecnica dei nanovettori per l’utilizzazione di principi attivi di origine vegetale, in quanto questa tecnica ne incrementa la solubilità in acqua, la stabilità, la distribuzione, la biodisponibilità, l’attività farmacologica, la penetrazione nelle cellule, la resistenza alla degradazione fisica e chimica, ed infine minimizza la tossicità (Sajid M, 2019). Ricordiamo che le nanoformulazioni sono varie: liposomi, colloidisomi, aquasomi, etosomi, niosomi, proliposomi, nanocapsule, nanoemulsioni, microsfere e transferosomi (Swarnlata S, 2015). Come abbiamo già detto la prima formulazione utilizzata è stata quella dei liposomi, che sono costituiti da fosfolipidi, della grandezza di 50-250 nm, ottenuti all’inizio da semi di soya, i quali hanno una struttura simile alle membrane cellulari e sono solubili in acqua e olio. L’uso di liposomi come nanocarrier è utilizzato specialmente per i polifenoli, i flavonoidi e le saponine. L’unico problema che presentano è la scarsa penetrazione in caso di utilizzazione topica cutanea (Swarnlata S, 2015). Tale limitazione viene superata con l’utilizzazione dei proniosomi o dei nanocristalli di silice.
USO TOPICO CUTANEO DELLE
NANOFITOMEDICINE
La quercetina, come tutti i flavonoidi presenta bassa solubilità, stabilità e penetrazione e ritenzione. E’ stato visto in vitro che l’uso sotto forma di nanoparticelle migliora sensibilmente la solubilità della quercetina che è estremamente idrofobica (Soheir N.2014). Anche gli altri indici, come la stabilità, la penetrazione transdermica e la ritenzione cutanea, vengono migliorati notevolmente dall’uso topico cutaneo sotto forma di nanoparticelle, come dimostrato su cute di animale da esperimento, dove fa aumentare la sua capacità sbiancante (incrementando la sua azione anti-tirosinasi) e dove migliora la sua capacità antiossidante (Banyi L, 2019). Anche l’attività protettiva cutanea della quercetina, testata su cute di gatto, è potenziata dal suo uso topico cutaneo sotto forma di nanoparticelle, le quali sono in grado di opporsi efficacemente ai danni provocati dai raggi UVA, come dimostrato valutando localmente le COX-2 e il NF-kB (Zhu X, 2016). La curcumina. L’uso della formulazione sotto forma di nanoparticelle in applicazione topica, in animali da esperimento, migliora la sua capacità di guarigione delle ferite migliorando la sua bassa idrosolubilità, la sua scarsa penetrazione cutanea e la sua breve emi-vita, come dimostrato su cute di animali da esperimento (Mohanty C, 2017). La formulazione sotto forma di nanoparticelle migliora anche la sua capacità antibatterica, come dimostrato in vitro contro il methicillin-resistant Staphylococcus aureus (MRSA) e come dimostrato in vivo, su bruciature inferte ad animali da esperimento, dove è in grado di migliorare, oltre l’infezione batterica, anche la riparazione delle stesse bruciature come testimoniato dall’aumento della re-epitelizzazione e dall’aumento della fibronectina e del collagene (Krausz AE, 2015). Un lavoro realizzato in Italia ha testimoniato che l’uso topico di quercetina e curcumina, utilizzate sotto forma di liposomi, migliora sensibilmente una infiammazione cutanea provocata sperimentalmente, in animali da esperimento, con il 12-O-tetradecanoylphorbol- 13-acetato (TPA). Più esattamente viene limitata l’attività della mieloperossidasi, presa come indice infiammatorio di riferimento, la quale viene inibita dalla quercetina del 59% e dalla curcumina del 68% (Castangia I, 2013).
USO SISTEMICO DELLE
NANOFITOMEDICINE
L’apigenina è definita un chemio-sensibilizzante (chemo-sensitizer) per l’epatocarcinoma perché è in grado di rendere, in vitro, le cellule cancerose più sensibili all’azione del farmaco antitumorale doxorubicin (Gao Ai-Mei , 2018). Ma la biodisponibiltà dell’apigenina è bassa e per tale motivo si è passati al suo uso sotto forma di nanoparticelle. È stato visto che l’uso di tale formulazione è estremamente utile per combattere l’epatocarcinoma, infatti la sua somministrazione endovenosa, a ratti affetti da epatocarcinoma (HCC), è in grado di controllare la crescita del tumore, come testimoniato anche da esami istologici (Bhattacharya S 2018). La silimarina, utilizzata sotto forma di niosomi esalta sua attività epatoprotettrice, come dimostrato contro una epatopatia provocata con tetracloruro di carbone in animali da esperimento, dove si vede migliorare l’assorbimento del 20- 50%, e di conseguenza si verifica grosso miglioramento delle transaminasi, le quali vedono dimezzare il loro valore. Grosso miglioramento è stato evidenziato anche agli esami istologici del fegato eseguiti prima o dopo il trattamento con silimarina nanonizzata (El-Ridy M, 2012). La quercetina somministrata per via orale, sotto forma di nanoparticelle, ad animali da esperimento, in cui era stata provocata colite tramite l’acido 2,4,6-trinitrobenzenesulfonico, ha determinato un grosso miglioramento della colite, evidenziato da un netto miglioramento dell’aspetto macroscopico (Castangia I, 2014). La curcumina, somministrata sotto forma di nanoparticelle in animali da esperimento, vede aumentare di almeno 9 volte la sua biodisponibilità (Shaikh J, 2009). Questo polifenolo è inserito nella classe BCS IV perché è scarsamente solubile in acqua e presenta bassa permeabilità, per cui dopo somministrazione orale, il 90% si ritrova nelle feci. Si è visto, sia in vitro che in vivo in animali da esperimento, che la sua utilizzazione in nanoparticelle, nella formulazione di polimeri (PLGA), fa aumentare notevolmente la sua biodisponibilità (solubilità e stabilità) ed è in grado di superare la barriera ematoencefalica e di essere facilmente internalizzata dalle cellule nervose. Da queste considerazioni è partita l’ipotesi dell’uso della curcumina nanonizzata sotto forma di polimeri in alcune patologie degenerative del cervello, come il morbo di Parkinson, malattia di Hungtington e la malattia di Alzheimer, con risultati incoraggianti (Del Prado-Audelo ML, 2019). Un altro possibile campo di applicazione della curcumina nanonizzata, già da tempo individuato, sono i tumori (Jieying L, 2013).